Trasferta

Mi chiamo Francesca, ho 40 anni e sono una donna che definirei nella norma. Capelli biondi ricci, corporatura abbastanza minuta, insomma la classica donna che non si nota in giro per strada, anche se credo di essere tutto sommato piacevole. Separata, un figlio di 8 anni, nella vita mi occupo di amministrazione per una grossa multinazionale.

Ogni anno siamo tenuti a fare dei corsi di aggiornamento ed essendo l’azienda molto molto grande, si è dotata di una sua struttura per questa attività, alle porte di Firenze. Qualche settimana fa era il mio turno e così ho fatto la valigia e sono partita. Tre giorni via di casa, per fortuna mio figlio è potuto rimanere con il padre (nonostante ci siamo separati da un po’ siamo fortunatamente rimasti in buoni rapporti e ci aiutiamo a vicenda) e sono partita. Martedì sera, dopo il lavoro, treno da Milano a Firenze, poi trasferimento in hotel e a letto di corsa. L’indomani è iniziato il corso. Eravamo in tanti, 5 o 6 classi da 8-10 persone l’una, per la maggior parte tecnici, ma anche molti di altri settori, amministrazione, gestione del personale, marketing. Nella pausa caffè ci si incontra con altri colleghi, si parla, si ride si scherza e ancora di più nei momenti conviviali, come a pranzo e soprattutto a cena, quando, dopo una giornata di studio finalmente ci si rilassa un po’.

La prima sera a tavola eravamo in tanti, ma lui mi ha colpito subito.

Alto, un po’ sovrappeso, ma con un paio di occhi azzurro cielo colmi di una tristezza che non saprei spiegare, barba folta ma ben curata e capelli cortissimi, entrambi brizzolati. La cena della prima sera è passata veloce e a lui non ci ho più pensato, finché, quando sono uscita per la sigaretta del dopo cena, l’ho trovato sotto al portico con un paio di colleghi, intenti a fumare, chi sigarette normali, chi quelle elettroniche. Lui fumava un sigaro e ciò gli dava un’aria ancora più interessante. Mi sono avvicinata e ho chiesto da accendere a uno dei colleghi presenti, poi mi sono seduta su un muretto, chiacchierando con tutti del più e del meno. Si chiama Cristian, ho saputo, è toscano di origine, ma vive a Torino.

Finita la fumata in compagnia ho salutato tutti e sono andata a dormire, senza riuscirci troppo bene. Il letto non mio, la temperatura (prima caldo, poi freddo) mi hanno rovinato il sonno, tanto che al mattino mi sono risvegliata in uno stato pietoso. C’è voluta una doccia per rimettermi in piedi. Sono scesa a fare colazione e l’ho visto, da solo. Ho chiesto se potevo e mi sono seduta al suo tavolo. Abbiamo fatto due chiacchiere mentre mangiavamo, tutto molto normale. Ma qualcosa in me non andava. Mi sentivo a disagio a guardare quegli occhi. Freddi come il ghiaccio, ma con quella velatura di tristezza. Mi dava la sensazione di un uomo tormentato, a dispetto del suo apparire sempre gioviale e di compagnia. Poi tutto è finito. Fine della colazione, ognuno al suo corso. Ci siamo incrociati a pranzo, ma nulla più. E di nuovo siamo rientrati in hotel per la seconda sera. Non so cosa mi ha preso, ma ho cercato di vestirmi meglio possibile, compatibilmente con i vestiti che avevo portato, che non erano sicuramente molto eleganti, in fondo ero lì per un corso, non per una serata di gala. Ho messo un paio di jeans e un maglioncino e sono scesa a cena. L’ho visto là, era seduto a tavola con i suoi compagni di corso, tutti tecnici e io mi sono seduta al tavolo a fianco, con altri colleghi. Ogni tanto con la coda dell’occhio lo cercavo, non sapevo cosa mi passasse per la testa. Lui era impegnato a parlare, mangiava, beveva e rideva. Io mangiavo e lo guardavo.

Finita la cena sono uscita per la sigaretta e l’ho trovato lì come la sera prima a fumare il sigaro e parlare con i colleghi. Questa volta però mi sono seduta vicino a lui e gli ho chiesto da accendere. La conversazione è andata avanti per un po’, tutti assieme a parlare delle nostre esperienze di lavoro e di cosa facevamo, finché lui si è alzato per tornare in camera e io, con la scusa che ero stanca l’ho seguito. Siamo entrati in ascensore e mi ha chiesto a che piano andassi e ho risposto al terzo, come lui e siamo saliti. Trenta o quaranta secondi in ascensore, vicini. Sentivo il suo odore. Lui mi guardava cercando di non fissarmi. Mi sentivo sempre più strana, un tarlo si faceva strada nella mia mente, anche se non riuscivo a capirlo del tutto. Era come se una parte di me lo volesse, ma un’altra parte respingesse quell’idea.

“Cazzo, Fra, è un collega, a che pensi”

pensavo nella mia testa, ma lui era sempre lì a pochi centimetri, sentivo il suo profumo e l’odore del tabacco, e la testa si annebbiava sempre di più.

Le porte si sono aperte e l’aria fresca mi ha colpito come uno schiaffo, destandomi dal mio torpore. Ho lasciato che uscisse, era più vicino alla porta, l’ho salutato e poi l’ho guardato girare a sinistra ed entrare nella sua stanza, che era la prima all’inizio del corridoio, mentre io ho girato dalla parte opposta per andare nella mia. Sono entrata e mi sono sdraiata sul letto, senza spogliarmi. Guardavo il soffitto e pensavo. Ho realizzato che quello che volevo era essere là con lui nella sua stanza e fare l’amore con lui, con uno sconosciuto in una stanza d’albergo. Ho deciso che ci avrei provato, ormai non mi interessava più nulla, se avessi fatto una figuraccia non aveva importanza. Mi sono sistemata un po’ e poi sono uscita, decisa ad andare da lui. Ma non avevo fatto tre passi che volevo tornare indietro. Mi sono girata e ne ho fatto uno di nuovo verso la mia stanza. Poi il pensiero di quei momenti in ascensore mi ha fatta tornare verso la sua stanza, Ancora pochi passi e sarei stata davanti alla sua porta. E una volta lì?

“E quando sei lì, Fra, cosa gli racconti? Che hai finito lo zucchero, come in un porno tedesco di serie B?”

Nel frattempo davanti alla sua porta c’ero davvero. Per due volte ho ritratto la mano prima di bussare. Poi il colpo fatale. Toc toc. “Si, chi è?” ha risposto con il suo inconfondibile accento. “Sono Francesca, la collega…” Non mi fa finire la frase. “Arrivo!” Indossava solo un paio di pantaloncini da palestra che gli arrivavano sotto il ginocchio, era a torso nudo. Se non fosse stato per la pancia un po’ abbondante avrebbe avuto un gran bel fisico. “Scusa la tenuta, ma…” “No, scusa tu l’intrusione… posso entrare?” “Si, vieni, accomodati, dimmi tutto” mi risponde, lo sguardo sempre più interdetto per quello che sta accadendo.

“No, sai, volevo chiederti…”

E mentre dico questa frase devo aver fatto una faccia da ebete, mentre un dito tormentava un riccio biondo. Ho sentito i suoi occhi di ghiaccio sul mio viso, sulla mia bocca, “Dio che voglia che ho che mi baci, dai cosa aspetti…”

Si è avvicinato a me, ma si è fermato a pochi centimetri dalla mia bocca. Sentivo il suo profumo e l’odore del tabacco…

“È questo che vuoi?”, mi ha sussurrato.

Non gli ho risposto, ma mi sono lanciata verso di lui e l’ho baciato con tutta la foga e la passione che potevo avere. Improvvisamente ho sentito le sue mani su di me, le sue braccia che mi avvolgevano, forti, possenti, mentre io toccavo la pelle della sua schiena scoperta. Mi ha abbracciata fortissimo, mentre ci baciavamo, sembrava che volesse stritolarmi, c’era passione ma anche disperazione in quell’abbraccio.

Era evidente che volevamo fare l’amore entrambi, ma sembrava che nessuno dei due volesse andare oltre quei baci e quegli abbracci, come se quello che stavamo facendo fosse troppo importante e troppo bello per smettere.

Poi lui ha rotto gli indugi e ho sentito le sue mani slacciare i miei jeans e lasciarli cadere a terra, mentre poco dopo era volato via anche il maglioncino, lasciandomi mezza nuda. Un rapido movimento di piedi ha fatto uscire le ballerine che portavo ai piedi e con un piccolo spostamento sono rimasta con solo mutandine e reggiseno addosso. Ho fatto qualche passo e sono andata a sedermi sul letto e lui mi ha seguito. Così facendo mi sono trovata davanti il suo pube ed è stato semplice abbassargli pantaloncini e boxer e liberare il suo sesso.
Ho iniziato a succhiarlo, finalmente lo avevo per me. Le sue mani mi accarezzavano la testa, poi sono scese giù a slacciarmi il reggiseno. Non posso dire di essere una dea del sesso, ma nemmeno una sprovveduta, so come far provare piacere a un uomo e ci stavo riuscendo, sentivo il suo membro diventare duro nella mia bocca.
Poi si è sfilato e mi ha spinta a sdraiarmi sul letto.
Mi ha guardato, ancora quegli occhi di ghiaccio, ancora quella velatura di tristezza, e mi ha detto: “Adesso tocca a me” e finalmente mi ha sorriso, mentre mi toglieva le mutandine e iniziava a toccare il mio fiore.
Adesso era davvero mio. Ho reclinato la testa all’indietro e mi sono rilassata del tutto, tanto più che dopo avermela toccata e accarezzata ha iniziato a leccarmela.
Sentivo la sua lingua che girava attorno al mio clitoride e si infilava dentro, mi stava facendo impazzire.

L’ho guardato e gli ho detto “Ti prego, prendimi, fammi tua…”.

Lui non ha risposto, si è reclinato su di me e mi ha baciata, poi è sparito un attimo ed è tornato con un profilattico. Me lo ha passato e poi mi ha detto: “Mi aiuti a metterlo?” La gentilezza del gesto e della richiesta mi hanno fatta sciogliere del tutto. Gliel’ho messo e poi ho allargato le gambe e gli ho detto “Prendimi, sono tua”.

Dopo un attimo l’ho sentito dentro di me e ho chiuso gli occhi per godermi la situazione. Quando li ho riaperti era a pochi centimetri dal mio viso, al collo portava due medagliette come quelle dei soldati americani, che che ciondolavano sopra di me e sul viso aveva una espressione strana. Era come se stesse provando piacere, ma non riuscisse ad essere completamente felice.
Ho allungato una mano sul suo collo e l’ho tirato giù, verso di me, ho guardato quegli occhi azzurri e gli ho sussurrato all’orecchio “Non pensare a nulla, prendimi, stanotte ci siamo solo noi due” e l’ho baciato. Ha ricambiato il mio bacio ha cominciato a spingere più forte, lo sentivo dentro di me, i suoi colpi decisi, stava per farmi raggiungere il piacere, lo sentivo e infatti poco dopo è accaduto. Ho cominciato ad ansimare, mentre le mie unghie si piantavano nella carne della sua schiena, stavo raggiungendo un piacere di una intensità incredibile. Senza staccarci ci siamo rotolati sul letto e io sono finita sopra di lui. L’ho guardato da questa nuova posizione, mentre le sue mani sulle mie cosce seguivano il movimento e l’ho trovato bellissimo, finalmente con una espressione di puro piacere sul volto. Mi sono piegata in avanti, finché i miei seni non hanno toccato il suo petto e ho ricominciato a baciarlo, forte, fortissimo, non volevo più staccarmi da lui, che intanto continuava a prendermi in quella posizione. Eravamo completamente attaccati, pelle contro pelle, gocce di sudore scendevano in mezzo ai miei seni e andavano a bagnare il suo corpo, i miei capelli nascondevano i nostri volti vicini, attaccati, le nostre labbra serrate le une sulle altre.

Poi ho sentito che ha iniziato ad accelerare il respiro e ad ansimare, fino a dire “Sto per venire…” “Si, dai, godi, vieni…” e in quel momento ho sentito che anche il mio piacere stava aumentando.
“Godi anche tu con me, dai..” mi ha detto e quelle parole hanno scatenato del tutto il mio piacere, fino al momento in cui l’ho sentito pulsare dentro di me, ho alzato il volto e ho raggiunto di nuovo l’orgasmo mentre lo sentivo che veniva nel profilattico.

Mi sono accasciata su di lui, provata da un piacere fortissimo e ho ricominciato a baciarlo, mentre lui mi accarezzava e lo sentivo sfilarsi da me.
Non abbiamo detto nulla. Siamo rimasti lì, in silenzio, io sopra di lui, e sue mani che mi tenevano stretta e mi accarezzavano.

“Vieni, andiamo a farci una doccia”, gli ho detto e siamo andati in bagno, dove c’era una doccia in grado di ospitare entrambi e ci siamo lavati e continuati ad accarezzare.

Poi lui è uscito, mi ha passato un’asciugamano e mi ha di nuovo stretta a lui in un caldo abbraccio. Siamo tornati di là e lui mi ha guardata, avvolta nell’asciugamano e mi ha detto: “Resta con me questa notte”

Non sono stata capace di dirgli di no (ma forse non ne avevo nemmeno l’intenzione), ho indossato solo le mutandine e sono andata sotto le coperte con lui. Mi sono appoggiata al suo petto e poco dopo dormivo profondamente, con le sue mani che mi accarezzavano i capelli.

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