Camera con vista [Un racconto di Francesco]

Era arrivato presto quella mattina.
Lei era ancora nel letto, non disse niente per tutto il tempo, la fece alzare e spogliare, la mise in ginocchio a due metri dalla porta di entrata, col volto in direzione opposta alla porta. Poi le legò gli avambracci alle cosce e con un altra corda, che passava sotto ai seni, le braccia al tronco. Come ultima cosa prima di uscire le avvicinò il viso al pavimento e le mise in bocca una mazzetta di banconote. Uscendo lasciò la porta accostata, non c’era stato bisogno di dirle di non muoversi, lei lo sapeva già, come sapeva che sarebbe stata una giornata lunga, chissà,forse alla fine lui sarebbe tornato.
Intanto la porta si aprì, era un rider, le appoggiò davanti al viso un bicchiere con una cannuccia e una scatola con dentro dei bignè, di quelli mignon da mangiare in un boccone, prese le banconote dalla bocca, si pagò la consegna e il resto delle banconote lo infilò tra le natiche. La mano continuò a scendere, le dita si infilarono fra le labbra e vi rimasero fino a quando non si bagnarono, poi scivolarono via.
«Puoi bere, ma non puoi ancora mangiare» le disse.
La porta ancora accostata, era di nuovo sola, nel bicchiere c’era un cappuccino con poco zucchero, ancora tiepido. Si sentiva un animale, sentiva il suo odore spandersi, raggiungere le narici.
Era un passo pesante quello che sentiva, un rumore metallico ovattato, una borsa piena di ferri, le scarpe da lavoro. Una mano ruvida prese le le banconote, si sentì frusciare la carta, il resto del denaro finì sotto la corda che passava sulla schiena mentre la mano ruvida entrava unta tra le natiche
«Adesso mangia» disse la voce roca da fumatore, il culo si allargava alla pressione del dito, le cosce anche, per fare spazio a altre gambe, in bocca il primo mignon.
Il dito sfilò via lento, le mani stringevano i fianchi, lei sentiva tutto il peso dei corpi, il suo e quello di chi gli stava addosso, ne sentiva la consistenza, elastico il suo, ruvido e compatto l’altro. Nella bocca tutto si scioglieva, dolce e vellutato scivolavano in gola, il culo sentiva tutte le vene del cazzo, stava entrando piano, una mano le teneva il volto dentro la scatola, a cadenze regolari la voce roca diceva sempre la stessa parola «mangia» ogni volta che la pronunciava il cazzo entrava più dentro. Un colpo profondo e secco, il cazzo era tutto dentro, la faccia era sporca di crema, la lingua leccava dentro la scatola e spingeva alla bocca i pezzi ancora interi, il culo non faceva più resistenza, il cazzo scivolava dentro, i colpi erano più veloci e lunghi, le mani stringevano forte i fianchi, il bruciore forte e improvviso, il segno di una mano rossa, aperta, poi un’altra, in sincrono con il cazzo, un mugugnio impastato, la figa aperta si contraeva. Stava ancora godendo quando vide arrivare il liquido bianco dentro la scatola, poi ancora sul volto «finisci tutto» la voce roca era di spalle, si rivestì lentamente, riprese la sua strada.
Lei sentiva ancora le scariche dell’orgasmo, la lingua leccava tutti gli angoli, saliva sulle pareti poi si fermò e lascò passare il tempo.
Non sapeva quanto ne fosse passato, forse aveva anche dormito, forse stava ancora dormendo, aprì gli occhi, per terra non c’era più la scatola, nemmeno il bicchiere, al loro posto una ciotola d’acqua, un’altra ciotola più grande era in mezzo alle gambe.
Sul divano di fronte un uomo e una donna, la donna stava accarezzando l’uomo, ogni tanto gli sussurrava qualcosa all’orecchio, l’uomo non rispondeva mai, lei aveva sete, aveva anche voglia di pisciare, doveva solo superare un altro limite, regalare ancora intimità e dignità, cominciò col bere, la lingua che portava alla bocca poche gocce, poi il muso immerso nell’acqua a prenderne a sorsi, sentiva l’urina cadere, risuonare nella ciotola.
La donna si alzò. L’uomo si sfilò la cinta, la piegò in due e la consegnò alla donna in piedi, poi con calma cominciò slacciarsi le scarpe, tutto avveniva lentamente, non c’erano movimenti bruschi, tranne il bere scomposto di lei che prendeva l’acqua a boccate mentre guardava cosa succede intorno
«Tienilo alto quel culo»
La voce arrivò quando la cinta stava già scorrendole sulla schiena, l’uomo parlava come se non si rivolgesse a nessuno mentre piegava con cura i pantaloni, la donna era dietro di lei, le strusciò la cinta tra le cosce, ogni tanto la faceva oscillare e gli dava dei colpi leggeri sul clitoride, aspettava l’uomo che non aveva nessuna fretta di spogliarsi.
Il tempo scorreva lento, lei leccava piano l’acqua che si increspava appena, l’uomo si mise davanti a lei, sentì la sua mano che le afferrava i capelli, quello era il momento in cui il tempo cominciava a correre, il cazzo era tutto in gola, un primo colpo secco, mancava il tempo, il fiato, l’uomo usava la bocca come fosse una figa, infilava il cazzo fino in fondo, poi lo sfilava tutto e lo rimetteva dentro, ogni volta che lo infilava la donna le dava un colpo.
Lui si fermò, col cazzo infilato dentro la sua bocca, premeva la testa per farlo entrare tutto, la donna faceva schioccare la cinta in mezzo alle cosce, il dolore era una luce che esplodeva improvvisa, l’energia dell’elettricità che attraversava il corpo, privato dell’aria, un rigurgito di saliva, la vista annebbiata dalle lacrime, l’aria ripresa a colpi di tosse.
«Prendili in bocca»
Lei doveva capire al volo, ogni secondo di ritardo era un colpo, inghiottì i coglioni e cominciò a succhiare, il cazzo sbattuto sul muso.
La donna le infilò due dita nella figa, col pollice premeva sul clitoride, era sopra di lei, sentiva la sua bocca sul collo, i capezzoli duri sulla schiena.
L’uomo gli rimise il cazzo in bocca, questa volta lentamente, la cappella scorreva sulla lingua, rallentava ancora quando trovò la curvatura della gola che faceva resistenza, gli mise una mano sotto il mento e lo sollevò quel tanto che bastava per fare entrare il cazzo nella gola, un’altra apnea, un po’ d’aria presa dal naso, il cazzo andava avanti e indietro di pochi centimetri, restava sempre in gola, sentì arrivare l’orgasmo, sentì le dita che si muovevano più in fretta, la stanza cominciò a girare, dalla bocca gli colava una saliva densa, l’uomo pulì il cazzo sulla sua faccia, le ginocchia non tenevano più il peso, sentì le corde tirare, il respiro pesante buttò fuori un mugugno animale che vibrava, scuoteva il corpo.
Per un momento tutto divenne buio, solo rumori ovattati e il sibilo del fiato, aprì gli occhi, davanti a lei non c’era più nessuno, la donna adesso le stringeva forte i seni, sentì le unghie che premevano sulla pelle, il primo colpo di cazzo nella figa, una mano infilata fra le natiche, il pollice che entrava nel culo, l’uomo voleva godere, dava colpi veloci e profondi, lei rimase dritta grazie alle corde, le gambe stavano vibrando, ad ogni colpo sentiva la corda che strusciava sulla pelle, la donna stava godendo, a ogni scarica stringeva più forte i seni, sentiva la sua lingua sul collo, sentiva anche il liquido caldo che le colava dalla figa.
«Puliscilo bene»
L’ultimo comando, si stava già rimettendo tutto in ordine, fuori cominciava a imbrunire.
L’acqua nella ciotola era stata cambiata, il catino svuotato, c’era silenzio e pace, la porta era ancora accostata.

Prima di andare via la donna aveva preso le banconote ne aveva tolte ancora un paio, il resto lo aveva arrotolato e infilato piano nell’ano, lei aveva subito pensato che vista l’ora l’ultimo visitatore si facesse pagare molto, un professionista, qualcuno che lasciava il ricordo.
Le faceva male tutto, non riusciva a concentrarsi su un dolore singolo e sapeva che quello non era ancora il dolore, come se tutto quello che era accaduto fosse un preludio, muoveva ciò che riusciva a muovere per svegliare le parti intorpidite, stava cercando di capire quanta energia le rimaneva, se era ancora lucida, quanto ancora avrebbe resistito.
Un profumo intenso entrò nella stanza, un vecchio negozio di coloniali del Nord Africa, sandalo, tabacco, un incenso dolciastro, l’amaro dell’argan, due mani forti trovarono non si sa come la delicatezza, i suoi lunghi capelli presero la forma di una treccia, uno spago robusto e sottile li legò in fondo, lo spago correva lungo tutta la schiena, lei sapeva cosa stava per succedere, il rotolo di banconote scivolò via dal culo, un pomello di metallo grosso come un mandarino ne prese il posto, il laccio si tese, il gancio tirò su il culo e la testa
Adesso la schiena era un arco, l’uomo prese una sedia e la mise di fronte a lei che finalmente potè vederlo, un nero alto e snello, elegante nei gesti e nel vestire.
I suoi movimenti erano sempre sicuri e rilassati. Un’altra cosa lei notò quando lui si sedette, aveva un cazzo enorme, la sagoma sui pantaloni arrivava quasi a metà coscia.
L’uomo aveva un sacchetto in mano, ne tirò fuori delle noccioline, gliele mise in bocca una per una, lei sentì subito che erano molto salate, aveva già sete. La ciotola dell’acqua era a una decina di centimetri dalla bocca, di riflesso provò ad abbassare un po’ la testa e subito sentì una fitta lancinante al culo, il gancio che premeva sulla parete dell’ano sembrava strappare la carne, non riusciva più a ingoiare le noccioline, le doveva frantumare e quasi sciogliere in bocca, sentiva i granelli di sale che le asciugavano la saliva.
«Acqua» quando pronunciò la parola si rese conto che era la prima della giornata, pensò che prezzo avrebbe dovuto pagare per ogni sorso, pensò al cazzo enorme del nero, si sentì piccola, indifesa.
«Acqua» la parola esce da sola dalle labbra, l’uomo non ascoltava, continuava a infilargli in bocca noccioline, una alla volta. Poi l’uomo si alzò, accartocciò il sacchetto e si sedette sul divano, cominciò a slacciarsi le scarpe, lei capì che doveva abituarsi al dolore, centimetro per centimetro, doveva essere lei a procurarsi il dolore per spegnere la sete.
La testa scese verso la ciotola con una lentezza infinita, allungò la lingua per misurare la distanza, sentì tutti i terminali nervosi dell’ano, le scariche arrivavano alla nuca, dove i capelli sostenevano la tensione, sentì l’urina che le colava dalle cosce, la figa completamente aperta.
La lingua sfiorò l’acqua, l’uomo era nudo, lei non lo vedeva, vedeva solo il riflesso del suo viso nell’acqua increspata, le prime gocce raggiunsero le labbra.
Era sempre più difficile, dopo la lezione di volontà cominciava quella di equilibrio: due fili di seta, un piccolo cappio per ognuno, l’uomo infilò i capezzoli duri nei cappi, e li strinse alla base, dove comincia l’aureola, i fili passavano sopra le spalle arrivavano al gancio.
Lei seniva i seni sollevarsi, un dolore sottile e lancinante, in qualsiasi modo si muovesse prova dolore, scelse il dolore che la dissetava, continuò ad abbassare la testa, il suo ano era spalancato, sentiva colare gli umori, il dolore era un frastuono, le labbra finalmente toccarono l’acqua.
Aspirò piccole sorsate d’acqua, come un uccellino, sentiva il piacere del fresco mentre intorno tutto bruciava, l’equilibrio instabile, il dolore diviso.
Rimase ancora l’ultima lezione, quella della resistenza: la cappella dell’uomo premeva sulla figa che nonostante fosse completamente aperta non riusciva ad accoglierla, le mani dell’uomo stringevano i fianchi, tenevano fermo il corpo per non mutare l’equilibrio. Il cazzo entrò, uno sbuffo d’acqua soffocò il rantolo, il respiro divenne pesante, scese una nebbia umida davanti agli occhi, l’uomo tenne il cazzo dentro senza muoverlo, gli diede il tempo per prendere fiato, non voleva farla svenire, il respiro rallentò, era ancora cosciente, sentì il cazzo che scivolava fino in fondo, spingeva il pomello verso l’alto per farsi spazio, non c’è più posto per niente, né nel fisico e nemmeno nella mente, tutto è pieno.
L’orgasmo arrivava a ritmi regolari, stravolgeva gli equilibri, faceva perdere la coscienza in un buio illuminato da lampi di luce, in uno di questi la bocca si riempì, lo riconobbe dalle scarpe, dalla bocca le uscì un mugugno, se non avesse avuto il suo cazzo in bocca sarebbe stato »Padrone»
Adesso poteva lasciarsi andare, la lezione era superata, doveva solo aspettare che il suo padrone e l’uomo che la scopava si saziassero, poteva anche svenire adesso e venire risvegliata dagli orgasmi, tra poco ci sarà la pace e unguenti per le ferite.

Condividi questo racconto

Lascia un commento