Sangue, lacrime e polvere

Interno giorno, ma non sembra. Una stanza sporca in penombra, nel centro di una grande città. Un letto a due piazze, senza lenzuoli e senza cuscini. Vicino al letto una piccola toletta, nulla più che un tavolino con uno sgabello e uno specchio. Due porte, una dà sull’esterno, l’altra su un piccolo bagno. Alla toletta c’è una donna dall’età indefinibile, ha i capelli neri e gli occhi scuri. Indossa una lunga vestaglia nera, lisa, ha sicuramente visto tempi migliori. La vestaglia si, ma anche lei. Calze velate nere e dei sabot ai piedi.

Si guarda allo specchio: dimostra molto più dei suoi 28 anni. Si pettina i capelli e guarda nervosamente il telefono sperando che suoni, che qualcuno la chiami. Ha avuto solo due clienti oggi e se non fa abbastanza soldi quando lui verrà stasera la picchierà un’altra volta.

Mentre si pettina e si guarda allo specchio pensa agli anni della sua infanzia, Novi Sad, in quella che era la Jugoslavia e poi la Repubblica di Serbia. Ai sogni di quella bambina, diventata grande troppo in fretta e troppo presto.

Jana è in Italia da dieci anni voleva iniziare una nuova vita, sognava un futuro migliore, come tante ragazze. Se avesse trovato un altro lavoro forse adesso starebbe bene, e invece si era innamorata di quel maledetto albanese che le aveva rubato i documenti e l’aveva sbattuta sulla strada. Quattro lunghi anni a battere al freddo in strada e le botte, quante botte, dai clienti, da lui e dai suoi fratelli. E poi la droga, cocaina soprattutto, per stare sempre in tiro per i clienti. Però Jana era bella, alta quasi 1,75 i lunghi capelli neri e il suo seno abbondante che agli uomini piaceva tanto. E lui alla fine aveva pensato che non si poteva tenere una Ferrari in strada, bisognava darle un posto adeguato, più redditizio E così le aveva trovato una casa e da allora riceveva lì. Non era male e poi non c’era più quella maledetta strada e quel dannato freddo. Però le botte non erano finite, ogni tanto qualche cliente e soprattutto lui e i suoi fratelli continuavano a pestarla dicendo che non guadagnava abbastanza.

Poi tutto era crollato, quando la polizia aveva arrestato lui e tutta la sua famiglia e lei era diventata una clandestina senza documenti. Il giro della prostituzione era finito nelle mani di un clan rivale e così anche lei. Ora la casa era brutta e sporca, lei non era più così bella dopo tanti anni (anche se gli uomini si giravano a guardarla quando passava per strada). Solo le botte non erano cambiate. Sempre uguali, forse peggio e sempre al corpo mai al viso. Non si rovina la mercanzia.

In questo periodo si lavora poco, girano pochi soldi e sulla piazza ci sono le giovani che portano via il mercato e poi quelle che lo fanno senza protezioni e che hanno sempre tanti clienti.

Jana guarda il telefono, che finalmente suona. È un cliente che non conosce. Prende appuntamento dopo un quarto d’ora. Va in bagno si lava e toglie la vestaglia. Il suo corpo è perfetto, altro che vecchia. I muscoli sono sodi, la pelle tesa, solo lo sguardo tradisce il suo sentirsi vecchia, indossa un completo intimo nero e delle calze autoreggenti, sempre nere. Si mette seduta sul letto e aspetta. Lui richiama. È di sotto. Gli dice di attendere un attimo. Mentre sta sistemando le ultime cose risuona il telefono. Questa volta conosce il cliente. È un ragazzo giovane e anche carino, forse si è anche un po’ innamorato di lei, la viene a trovare quasi tutte le settimane, a volte anche più spesso. Ma Jana non può scegliere. Deve riceverli entrambi, le servono i soldi. Chiede al ragazzo se può posticipare di mezz’ora e lui dice di sì. Poi apre il portone e aspetta l’altro cliente. Come sempre la porta è accostata e lei ci si nasconde dietro. Gli altri inquilini del palazzo sanno benissimo cosa fa, ma la tollerano perché lei è sempre gentile, non lascia sporco in giro e saluta sempre.
Lui entra, avrà 50 anni, è grasso e calvo. Ormai Jana non guarda più all’aspetto estetico. Basta che non menino le mani e paghino. Appena entra, Jana sente subito un forte odore di alcool. “Cazzo, è ubriaco” pensa. Gli ubriachi sono i peggiori, rischiano di diventare pericolosi. Lui tira fuori un pezzo da 100 euro e dice che vuole fare un’ora. “Tanto non ce la fai” pensa lei. “Facciamo 50, poi se vuoi facciamo un’altra e altri 50” dice lei. Lui accetta e si sveste. Inizia a toccarla e poi attaccano con i preliminari. Lui fa fatica, è ubriaco. “Nemmeno mio nonno con tutto lo Slivovitz che beveva era ubriaco alle tre del pomeriggio” sta pensando lei. Finalmente riesce ad avere un’erezione e prova a prenderla. Lei non sente più nulla ormai, nessun trasporto, nulla. Oddio forse con qualche cliente particolarmente bello si, tipo il ragazzo che deve venire dopo, ma con questo panzone… Lui la prende da dietro, Jana finge di provare piacere, perché il cliente va soddisfatto, finché lui non raggiunge l’orgasmo e si accascia su di lei. Adesso che si è sfogato inizia a straparlare, a toccarla ancora. Nelle sue elucubrazioni mentali Jana lo sente accennare a qualcosa che ha a che fare con una vincita. “Aspetta aspetta, cosa ha fatto questo” pensa lei. Un lampo di genio. Si alza e gli offre un bicchierino di Slivovitz, una delle poche cose che ogni tanto le mandano da quello che era il suo paese. Bevono. Lui la tocca, la vorrebbe ancora, straparla e stavolta dice distintamente di aver vinto un milione di euro al “Milionario”, una lotteria simile al Lotto. Lui insiste che la vuole ancora, la afferra con forza e la vuole prendere, le molla anche un paio di schiaffi. “Ecco, come sempre. Da ubriachi diventano violenti” pensa lei. La spinge sul letto e prova a prenderla con forza, ma non ci riesce, è troppo ubriaco e continua a malmenarla. Schiaffi, pugni. Jana non può piangere anche se volesse, lui sta cercando di possederla, ma con tutto l’alcool che ha in corpo non gli si alza di un centimetro, a lei viene quasi da ridere di scherno per la sua ostinazione, una voglia che le passa quando lui, esasperato, la colpisce ancora. Ad un certo punto tira fuori una ricevuta dalla tasca e dice “Vedi troia, vedi? Ho vinto un milione di Euro e adesso delle puttane come te ne posso avere finché voglio”

Improvvisamente, in un attimo tutto cambia. Come se qualcuno avesse spento la luce, Jana afferra meccanicamente la bottiglia dello Slivovitz e colpisce il grassone alla testa. Uno schizzo di sangue e lui cade. Lei gli ruba la ricevuta della vincita, la guarda. Prende il telefono e controlla. Ha vinto davvero un milione di Euro. Adesso Jana piange, stavolta piange davvero. Una coltre nera scende sopra i suoi occhi e con la bottiglia rotta taglia di netto la gola del grassone. Il sangue la colpisce di nuovo e si mescola con le sue lacrime.

Il telefono. Risponde. È l’altro cliente, il ragazzo gentile. Lei non sa che fare e, come uno zombie gli va ad aprire. La scena è raccapricciante: sangue ovunque, mescolato con la sporcizia del pavimento. Jana continua a piangere e le lacrime le spargono il sangue addosso, sembra una Furia ma piangente. “L’ho ucciso. Non ce la faccio più. Sono stanca di botte. Basta. Meglio la prigione di questa vita” dice al ragazzo. “Ha anche vinto un milione di Euro, il bastardo” continua, tra lacrime e singhiozzi, mentre gli mostra la ricevuta.

Lui si guarda intorno e poi guarda lei, finché, dopo un po’ gli si spalanca davanti un nuovo mondo. “Prendi le tue cose, scappiamo. Assieme, adesso. Fuggi via con me” le dice. “Ma io non ho i documenti” dice lei. Lui prende la ricevuta da un milione di Euro e risponde: “Questo è il nostro lasciapassare”. La bacia, dolcemente e con delicatezza: “Nessuno ti toccherà mai più”. La aiuta a prendere le sue poche cose mentre lei si ripulisce. Escono, sono le quattro e mezzo del pomeriggio, è autunno e il sole sta tramontando. Jana lo guarda e gli dice “Non so neanche tuo nome”
“Giacomo. Mi chiamo Giacomo. E adesso andiamo. Abbiamo poche ore per passare il confine.”
E’ ora di tornare a Novi Sad, e poi prendere il volo per dove vorrai tu.

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