Samuel . Seconda parte.

Bologna, aprile 1996

Passarono i giorni e le settimane e il pensiero di Samuel continuava a fare capolino nella mia testa. Sapevo che la mia voglia di lui era sempre lì che aspettava di uscire. Ma non sapevo come fare, io vivevo ancora con i miei, mentre lui stava in un appartamento con altri ragazzi che era sempre occupato.
Finalmente arrivò l’occasione che aspettavo: un paio di amiche, studentesse fuori sede andavano a casa per le vacanze di Pasqua e mi prestarono casa loro.
Chiamai Samuel e lo invitai ad uscire. Mi disse che mi avrebbe portato in un posto dove servivano cibo africano, poi avremmo deciso che fare, anche se io avevo già il mio programma. Ci vedemmo in centro per l’ora dell’aperitivo. Avevo indossato un lungo abito grigio, sotto il quale avevo messo un intimo da urlo, un perizoma minuscolo, un reggiseno di pizzo e un paio di calze autoreggenti nere; un paio di scarpe con un po’ di tacco completavano l’opera. Dopo l’aperitivo andammo a cena, dove mangiammo molto bene, con Samuel che mi raccontava la sua vita, sempre in giro per il mondo, a seguito del lavoro di suo padre, che era immigrato in Francia dal Senegal molti anni prima ed era riuscito a farsi una posizione sociale di un certo tipo, grazie alle sue capacità. Lui si sentiva francese a tutti gli effetti, ormai, nato e cresciuto in Francia, del suo paese conosceva solo le tradizioni che gli erano state raccontate e ciò che aveva visto quando andava a trovare i parenti che erano rimasti là. Stava per laurearsi in medicina e non escludeva in futuro di andare ad alleviare le sofferenze dei popoli africani. Chissà, forse un giorno, diceva e io lo ammiravo, quella pelle liscia e scura, quei suoi occhi altrettanto scuri, il suo italiano quasi perfetto, “macchiato” solo da qualche inflessione francese.
Finimmo la cena e proposi una passeggiata per digerire, il clima era piacevole, la primavera stava arrivando a Bologna e la città si risvegliava dopo il torpore dell’inverno, come sempre in quella stagione. Ovviamente lui non lo sapeva, ma la mia passeggiata era scientificamente diretta a portarci all’appartamento delle mie amiche, dal quale ero passata nel pomeriggio, avevo fatto un letto con le mie lenzuola e avevo lasciato una buona dose di preservativi. Mi fermai esattamente a pochi passi dal portone della casa, lo fissai negli occhi (cosa non semplice, vista la differenza di altezza) e cercai la sua bocca per baciarlo. C’era già stato qualcosa fra di noi e questo ci permise di saltare tutti quei convenevoli che di solito si frappongono a un bacio. La sua grande mano passò dietro il mio collo, quasi a volermi sostenere la testa, le sue labbra si appoggiarono alle mie e le nostre lingue fecero il resto. In mezzo a quei baci e a quell’intrecciarsi di lingue gli sussurrai “Voglio fare l’amore con te” e lui ripose “Anch’io, ma dove andiamo?”.
Feci il gesto di chiudergli gli occhi e gli dissi piano “Fidati di me. Chiudi gli occhi” e lo presi per mano, entrando nel portone del palazzo dove stava l’appartamento delle mie amiche.
Salimmo le scale ed entrammo in casa e senza che nemmeno potesse chiedersi dove fossimo ricominciai a baciarlo furiosamente. In un attimo le sue possenti mani stavano esplorando il mio corpo, infilandosi sotto il vestito, mentre io gli sbottonavo la camicia scoprendo quel torace nero e liscio. Poi mi inginocchiai, gli slacciai i pantaloni e liberai dalle mutande quello stupendo arnese. Stavolta lo vedevo bene e devo dire che era veramente enorme. Lo misi in bocca e cominciai a succhiarlo, mano a mano che cresceva nella mia bocca mi rendevo conto delle sue dimensioni. Mi guardava e ad un certo punto mi disse “Spogliati per me”.
Mi staccai da lui, feci un paio di passi indietro e lo guardai con lo sguardo più malizioso che mi venne, poi iniziai a togliere il vestito, rimanendo in mutandine, reggiseno e autoreggenti. Lo vidi trasalire, mentre si toglieva i pantaloni e i boxer e ancora di più quando mi tolsi il reggiseno e poi il perizoma, rimanendo solo con le autoreggenti e le scarpe, che tolsi sdraiandomi sul letto. Lo guardai e gli dissi “Vieni… Ma prima metti questo” e gli passai un preservativo. Allargai le gambe e mi preparai a ricevere quella meraviglia nera. Lui lo appoggiò piano alle mie labbra e poi mi prese. Lasciai partire due urli di piacere, anche se in realtà sulle prime provai un po’ di dolore, che se ne andò in fretta sotto i suoi potenti colpi. Ero eccitatissima, lo sentivo dentro di me, mi sembrava di essere spaccata in due, il mio respiro era affannoso, i miei rantoli di piacere sempre più forti, finché non raggiunsi il piacere, sottolineato da un urlo roco che Samuel si affrettò ad attutire mettendo la sua mano davanti alla mia bocca.
Mi aveva fatto godere, si sfilò e si sdraiò sul letto supino. Rimasi per un attimo ad ammirare quella specie di obelisco nero e ci salii a cavalcioni, girata in modo da guardarlo negli occhi. In quella posizione ho sempre provato un piacere incredibile, ora poi che sentivo le sue mani sulle mie natiche che mi guidavano su e giù stavo impazzendo. Reclinai il busto in avanti e mi sdraiai sul suo petto, baciando ogni centimetro della sua pelle che mi capitava a tiro. Lo vidi che stava per godere e infatti di lì a poco lo sentii che che veniva nel preservativo dentro di me. Da parte mia queste sensazioni mi fecero perdere completamente il controllo e raggiunsi un altro orgasmo assieme a lui.
Rimanemmo un po’ lì abbracciati, poi andammo in bagno e poco dopo eravamo di nuovo a letto. Accarezzavo il suo petto, ma non riuscivo a resistere e mi misi a giocherellare con il suo membro, sentendo che stava ritornando duro. Mi fece girare supina e si mise sopra di me, porgendomelo da leccare. Nel frattempo le sue mani si prendevano cura di me, facendomi bagnare senza difficoltà. Presi un altro preservativo, glielo misi, poi mi sfilai da sotto, mi misi alla pecorina e gli dissi: “Dai, prendimi….”.
Lo sentii che si appoggiava e poi scivolava dentro. Le sue mani mi afferrarono dai fianchi e cominciò a spingere con decisione. In quella posizione lo sentivo che entrava prepotentemente dentro di me fino in fondo, mi sentii completamente in balia di quell’uomo tanto gentile quanto possente. I suoi colpi mi davano la sensazione di aprirmi a metà, sentivo il suo corpo sbattere contro il mio mentre le sue mani mi stringevano decise. Sentii l’orgasmo montare prepotentemente dentro di me e venni con un altro urlo che soffocai mettendo la testa sul cuscino.
Lui non ne aveva ancora abbastanza, era venuto poco prima e adesso aveva ancora voglia. Mi fece girare su un fianco e, mettendosi accanto a me, ricominciò a possedermi, mentre le sue mani si allungavano a toccare i miei seni. Sembrava instancabile, proseguiva con foga a battere i suoi colpi dentro di me, mi toccava, e io sapevo che a breve avrei goduto di nuovo. Avevo la vista annebbiata, copiosi umori scendevano lungo le mie gambe e sentii che stava arrivando il momento del piacere, che infatti non tardò, facendomi contorcere come una serpe e urlare di nuovo.
Quando fui di nuovo in grado di parlare dissi: “Ti voglio in bocca”. Mi fece sdraiare e si mise sopra di me, gli tolsi il preservativo intriso dei miei umori e ricominciai a succhiarlo.
Non passò troppo tempo quando lo sentii dire “Si, vengo….” e prenderlo in mano per riversare una quantità enorme di sperma sul mio viso e nella mia bocca che, aperta davanti a lui, lo attendeva. Sembrava non finire più, cercavo di prenderlo tutto ma era tantissimo, avevo il viso mezzo coperto dalla sua crema che cercavo di raccogliere con la lingua, avidamente, mentre leccavo anche la sua asta nera per ripulirla da ogni goccia del suo piacere.
Andammo in bagno e poi tornammo a letto, deve ci addormentammo nudi e abbracciati. Ci eravamo donati reciprocamente un piacere intenso e profondo e rimanemmo così fino al mattino.
Condividi questo racconto

Lascia un commento